Home » Itinerari Turistici Riccione » Itinerario e sapori nell’entroterra di Riccione in provincia di Rimini
Da Rimini capitale internazionale del divertimento con le sue lunghe spiagge città da vivere tutto l’anno e culla del mitico regista Federico Fellini, percorrendo la via Emilia si arriva a Santarcangelo di Romagna dove è nato Tonino Guerra, il geniale sceneggiatore di film felliniani quali “Amarcord”. Pago Acerbolano questo il suo nome di origine che deriva dal termine acervi, ovvero mucchi di cocci, poiché in questa zona si producevano le anfore del vino, sorge su di un antico luogo di culto il colle di Giove. Qui nel 1164 si fermò il grande imperatore Federico Barbarossa, e verso la fine del 1300 spiccava la torre fortificata più alta dell’ Italia antica. Concordia Malatesta figlia della sfortunata e celebre Francesca da Rimini che venne uccisa insieme all’ amante Paolo dal terrbile marito Gianciotto Malatesta detto lo sciancato, fondò a Santarcangelo il Convento delle Sepolte Vive, ancora oggi visibile in Piazzetta Monache. Proprio qui sotto si trovano le magiche 200 grotte scavate millenni fa dall’ uomo nel tufo e nell’ argilla. Questo labirinto sotterraneo e ancora visitabile in parte per rivivere con la mente i riti pagani preromani dedicati al dio Mitra e successivamente gli incontri segreti dei primi cristiani che utilizzarono queste cave sotterranee come catacombe. Gli ingressi al pubblico sono appunto nella piazzetta delle Monache e in via dei Fabbri. Come in una favola dei menestrelli, ci troviamo nel borgo medioevale dominato dalla Rocca Malatestiana.
Per conoscere i mestieri di un tempo ci sono l’ Antica Stamperia Marchi con le celebri stampe a ruggine su stoffa, create con il mangano, una pressa a ruota del ‘600, e la bottega Giorgetti con vecchie tecniche di lavorazione del ferro battuto. La prima Santarcangelo nacque nella zona della Pieve di S. Michele, basilica bizantina, del 500 circa d.C., appena fuori dal centro. Qui si rifugiarono i primi abitanti per proteggersi dalle devastanti invasioni barbariche. Gastronomia artistica nell’ antica cantina con volte in pietra a vista, la Sangiovesa, pensata e disegnata da Tonino Guerra, dove gustare anche la magnifica piadina romagnola, di cui Santarcangelo ne è l ’indiscusso tempio. Un detto popolare vuole che Santarcangelo sia terra di fiere come quella di San Michele, in cui si vendevano gli uccelli, e la festa di San Martino o “di bec’ “, i cornuti in dialetto romagnolo, con i prodotti dell’Autunno e l’esibizione dei cantastorie da tutta Italia. La prima si tiene a fine settembre e l’altra l’11 novembre. Durante le sagre tipiche e per tutto l’anno, in queste terre “scorrono” due amati nettari. La Cagnina, vino rosso spesso amabile, importato dal Friuli all’epoca delle grandi basiliche bizantine di Ravenna costruite con la pietra calcarea proveniente dal Carso e dalla Dalmazia. E il Sangiovese, ovvero il “vino rosso di Romagna”, la cui leggenda narra che il Dio Bacco arrivato in queste terre e gustato quel corposo nettare, tutto soddisfatto esclamò “Sanguis Iovis!”, sangue di Giove, da qui la denominazione del vitigno. Ma il termine potrebbe anche derivare da quel Monte di Giove su cui è sorta Santarcangelo. Verso Poggio Berni, nella fossa detta Viserba, siamo nella terra dei mulini a ruota che in tutta la Val Marecchia sono ben 166. Il nuovo museo a loro dedicato è ospitato nel Molino Moroni sulla via Santarcangiolese. Poco prima di arrivare nel borgo di Poggio Berni, dove in agosto si danno appuntamento i somari per il consueto palio a loro dedicato, si sale alla frazione di Sant’Andrea, fino all’imponente palazzo Marcosanti del 1300, antica “tomba”, ovvero, secondo il significato medievale, residenza nobile e fortificata di campagna, immune da servitù feudale. Oggi è sede di un’esclusiva azienda agrituristica dove dormire da re e gustare cibi biologici. Santo Marino, scalpellino venuto dalla Dalmazia, decise di stabilirsi sulla cima del Titano, oggi appunto città-stato di San Marino, piuttosto che sull’altro colle della zona, considerato troppo rozzo e inadeguato per viverci, chiamato “La Scorticara” o “Scorticata” ovvero l’attuale Torriana. Siamo nella terra delle leggende, sopra due poggi rocciosi, uno del Castello con tratti di mura ed antichi bastioni dove si rifugiò Gianciotto dopo aver ucciso Paolo e Francesca, l’altro della Torre con l’antico rudere quadrato. Entrambi furono sede delle lotte dei Malatesta contro i Montefeltro. A Torriana regna anche la fantasia con la fontana dei poeti creata da Tonino Guerra, “L’albero dell’acqua” in piazza Allende, un tronco di gelso scolpito in bronzo:” Un caspo di rami d’acqua che fa il solletico al cielo nel buio della notte fino ad incrociarsi con le luci di San Marino” ha scritto l’artista innamorato della Valmarecchia.
Le leggende continuano a Montebello ovvero al “Mons Belli” degli antichi romani che qui si stabilirono nel 200 a.C. e lottarono nei secoli contro gli invasori, dai Galli ai Barbari. Il monte della guerra, da dove ci si affaccia con panorami da favola su San Marino, Verucchio e il flume Marecchia fino al mare. Qui domina il Castello feudale del Giuidi di Bagno, costruito tra il 1100 e il ‘500 e classificato monumento nazionale e aperto al pubblico, dove si dice che vivano numerosi fantasmi, primo fra tutti quello dolcissimo di una bambina, Azzurrina. Guendalina di 8 anni, figlia di Ugolinuccio Malatesta, aveva i capelli tinti di azzurro, con estratti di erbe, dalla madre, per tenere nascosto che la bambina era una albina, cioè, secondo le credenze del tempo, una figlia del diavolo, una strega da poter bruciare sul rogo. La notte del solstizio d’estate, il 21 giugno del 1375, durante un temporale, Azzurrina scomparve per sempre nelle grotte sotterrane del castello mentre rincorreva la sua palla di stracci. Un mistero che continua ancora oggi quando negli anni che finiscono per 0 e 5, nel solstizio d’estate, si dice che nel Castello, abitato oggi dalla professoressa Welleda Villa Tiboni, si sentano la voce, il battito del cuore e le risate infantili di Guendalina Malatesta.
Seguendo la Maceratese (statale 258) e poi salendo per 2 km la via Provinciale Nord, in mezzo ad un paesaggio di olivi, cipressi e vigneti che da solo vale il viaggio, arriviamo a Verucchio, la culla dell’antica signoria dei Malatesta. Per “abbracciare” con lo sguardo la Valmarecchia e rivivere la storia di queste terre si possono percorrere le mura del fossato interamente restaurate, a partire dalla chiesa di S. Agostino e seguendo poi un saliscendi lungo gli antichi torrioni. In questi luoghi, magici con l’illuminazione notturna, vengono organizzati in luglio il Verrucchio Festival Internazionale delle nuove tendenze musicali e in agosto le Feste dei Malatesta con banchetti medioevali e notti alla Rocca. Fra le ricche proposte enogastronomiche del posto, dai passatelli in brodo ai maltagliati coi fagioli fino al castrato, una curiosità tutta da gustare è la “piada dei morti” diversa dalla versione classica onnipresente nella cucina locale. Scendendo a Villa Verucchio si incontrano il Rimini Golf Club a 18 buche, in mezzo a laghetti e paludi, e la Chiesa di Santa Croce, annessa al Convento dei Francescani, con all’esterno uno degli alberi più famosi ed antichi d’Italia, il “cipresso di San Francesco”, germogliato, narra la leggenda, dal bastone impugnato dal poverello di Assisi, 1’8 maggio del 1213. Sulla strada provinciale Nord si trovano le Fonti di S. Francesco, altro “dono” del patrono d’Italia, una sorgente di acque minerali, sodiche, magnesiche e solfatocalciche. A due passi dal fiume, ecco il parco Marecchia, oasi di verde, in via Casetti a Villa Verucchio. A valle di Ponte Verucchio, le ex cave sono oggi rifugio di uccelli rari e di pregio e stazione di migratori, tanto che il WWF vi organizza tour di avvistamento.
Itinerario: Rimini, Ospedaletto, Montescudo, Monte Colombo, Gemmano, Montefiore, Saludecio, Mondaino, Montegridolfo, Morciano di Romagna, Misano Monte, Coriano, Rimini
Ecco la Valconca con le sue dolci colline, gli olivi, veri tesori per le oltre mille aziende che in queste zone producono l’olio extravergine di Romagna, i folti castagneti antichi, le valli nascoste, i borghi abbandonati e la riserva di Onferno, una sorpresa della natura “cantata” da Dante con grotte, doline, boschi e calanchi. Qui scorre il flume Conca che, prima di sfociare, riempie un invaso artificiale di 48 ettari creando un’oasi per uccelli migratori quali le cicogne nere. Siamo nella terra delle feste, dedicate ai prodotti enogastronomici tipici, alle streghe e al tempo che fu, e degli artigiani protagonisti di creazioni e capolavori di ceramica, terracotta, legno e pannolenci. Da Rimini, dove cultura e storia dell’antico centro si mescolano al divertimento a “go-go” delle chilometriche spiagge e dei numerosi locali di musica, ballo e incontro, arriviamo, passando per Ospedaletto a Montescudo.
L’antica Mons Scutulum, ai confini con la Repubblica di S. Marino, è stata abitata da etruschi, celti e dai romani. Fin dall’antichità fu importante centro di produzione di vasi ed anfore che commerciava in Grecia e nel resto di Italia, grazie ai numerosi giacimenti di argilla situati a sud, nel vicino centro di Santa Maria del Piano dove ancora oggi ci sono vari laboratori di ceramiche e terrecotte. Dalla terrazza panoramica sormontata da un’antica campana istoriata, sembra di “volare” sulle colline e la pianura circostante, fino al mare. Tutti da scoprire i borghi, i casolari e le campagne dei dintorni. Montescudo è la patria della patata a cui è dedicata la Sagra del Perdono, il secondo weekend di agosto, con ricette tutte a base del goloso tubero, dai tortelli al gelato, passando per il baccalà e le torte. Proseguiamo per Monte Colombo, l’antico Castrum Montis Columbi dove sono stati ritrovati reperti romani quali lucerne e monili. Nel Medioevo e Rinascimento, attorno a Monte Colombo sorgevano moltissimi castelli; oggi sono sopravvissute solo le rovine della Rocca Malatestiana dell’antico borgo, con le sue mura, le porte d’ingresso all’abitato e la tone con l’orologio. A metà luglio trionfa la gastronomia locale con la seguitissima Sagra della trippa e strozzapreti. La prima viene preparata con lo stomaco di manzo bollito, passata di pomodori pelati, olio extravergine locale, altri ingredienti naturali e del buon Sangiovese, che non manca mai sulle tavole di Monte Colombo. Gli strozzapreti sono un primo piatto tipico romagnolo, semplice e gustoso, a base di pasta fatta con farina, acqua e sale grosso, tagliata a listelli, arrotolata poi fra i palmi della mano e condita soprattutto con il ragù. La leggenda vuole che in passato, le azdore, le donne di casa, preparassero abitualmente questa pasta asciutta per il parroco, e i mariti, nati in questa terra per tradizione anticlericale, auguravano al prete di “strozzarsi”, di soffocarsi mangiando quella buona minestra. A Monte Colombo si tengono altre feste dedicate a S. Marco, il 25 aprile, alla trebbiatura, alla fine di luglio, e a San Martino, l’11 novembre.
Del suo storico castello, Gemmano conserva solo qualche rudere e le cinta murarie da poco restaurate. Le bombe dell’ultima guerra, infatti, hanno purtroppo distrutto in gran parte il paese e i suoi tesori antichi. Ma poco lontano, a sud, sotto la rupe del vecchio borgo di Onferno, la natura ha creato un’incredibile meraviglia rimasta intatta nel tempo, le grotte di Onferno, che fanno parte dell’omonima riserva di 123 ettari. Questa zona carsica di rocce gessose con concrezioni di sali di calcio colorate, brillanti ed “artistiche”, rimasta selvaggia, ispirò Dante Alighieri per creare l’Inferno della sua Divina Commedia. Non sono le anime dannate a vivere nelle grotte, a cui si accede solo con visite guidate e scarpe adatte, bensì la numerosa colonia di sei specie diverse di pipistrelli, compresi i preziosi e rari chirotteri dal muso corto e la fronte bombata, tutti innocui soprattutto se non disturbati e lasciati tranquillamente appesi alle pareti. Il vicino Cerreto è un paese medievale abitato solo da poche famiglie e considerato, dalle antiche tradizioni popolari alimentate da aneddoti divertentissimi, la “Cretinopoli” della Val Conca, ovvero il paese degli sciocchi, dove si narra che l’abitante più furbo consigliò ai suoi conpaesani, durante una battaglia, di abbracciare e tenere stretto il cannone perché non esplodesse. Lasciando Gemmano e seguendo l’antica strada della “Predosa” si arriva a Montefiore Conca, a 400 metri di altezza, dominato dalla gigantesca ed inconfondibile Rocca squadrata, una delle più importanti proprietà dei Malatesta. Nella piccola convalle del Ventena domina da un poggio Saludecio, l’antico San Laudenzio, dove Medioevo, Rinascimento ed Ottocento si fondono insieme e creano un gioiello tutto da scoprire, paese delle erbe e favola ricreata dalle sue numerose feste a tema. La magica favola di Saludecio può iniziare all’Osservatorio astronomico del gruppo N. Koppernick, nella vicina Santa Maria del Monte, dove passare il sabato sera in compagnia di stelle e pianeti grazie ad un potente telescopio, e proseguire con l’annuale e speciale Ottocento Festival fra fine luglio e primi di agosto. Un sogno divenuto realtà in cui il paese ritorna indietro di 100 anni e più … con numerosi spettacoli di pantomime, balletti, musica dell’epoca, burattini, itinerari misteriosi, mostre a tema. Tutti i locali ripropongono l’atmosfera e le ricette del XIX secolo, le signore si presentano in crinolina, cappello e ombrellino e i gentiluomini vi salutano togliendosi il cilindro. Ma Saludecio è anche il paese dove poter visitare un erbario e l’orto giardino con cento specie diverse dette Erbe di Gaetano e divertirsi al Salus Erbe, verso la fine di aprile, una rassegna di convegni, mostre, mercatini e ritrovi gastronomici, il tutto nel nome delle piante, dell’erboristeria, dell’agricoltura biologica, e della medicina naturale. Proseguiamo per incontrare Mondaino con la suggestiva Rocca Malatestiana e la caratteristica piazza chiamata “Padella” per la sua forma circolare dalla quale parte lo stradone principale che ne costituisce così l’immaginario manico. Nell’antico monte abitato dai daini, Mons Damarum da cui deriva il nome Mondaino e in ricordo del quale nella seconda metà di agosto si tiene il Palio del Daino con tornei e sfilate, sono stati trovati resti di animali, che vissero qui milioni di anni fa, raccolti ed esposti nel Museo dei Fossili ospitato nella Rocca. Nel Medioevo il borgo, che conserva ancora le sue mura, era considerato il Paese dei Patti per tutti gli accordi fra potenti signori che qui si stipularono. Ma Mondaino è conosciuto anche come l’antico villaggio abitato da un fantasma burlone, e così si è gemellato con alcuni castelli della Scozia, patria storica degli spettri. L’inquietante presenza sembra essere quella del poeta locale Giovanni Muzzarelli ucciso dal marito della sua amante. Mistero ed avventura continuano sotto la Rocca del 1300, nelle gallerie sotterranee scavate nel tufo, utilizzate dai signori del castello come via di fuga o in caso di assedio come cisterne, scoperte solo nel ‘97 ed oggi aperte al pubblico. Si prosegue verso il confine fra Romagna e Marche, fra le valli della Conca e del Foglia, e dopo solo 2 km da Mondaino si arriva in cima a Montegridolfo, gioiello medievale completamente restaurato e riportato agli antichi splendori. Ora nell’antico borgo non vengono più organizzati tornei per i potenti signori Malatesta ma si tengono feste e incontri dei vip del momento. Il Castello malatestiano del ‘300, che si raggiunge passando sotto la torre dell’orologio attraverso una porta ad arco e seguendo la lunga rampa del cassero, è oggi sede del Municipio a cui rivolgersi per le visite degli interni quale l’affascinante e goticheggiante salone della “Grotta Azzurra”. La Montegridolfo sacra si ritrova nella processione in costume del Venerdì Santo, nelle Feste Mariane e negli importanti luoghi di culto nei dintorni del borgo: la Chiesa di San Pietro, con un crocefisso del ‘300 dipinto da tre artisti diversi, e il Santuario della Beata Vergine delle Grazie a Trebbio, sorto nei luoghi dove, nel 1548, apparve per due volte la Madonna, ritratta anche nelle creazioni in legno di Romano Calesini, artigiano e artista dell’intaglio del luogo.
Piadina, focaccia cotta sulla lastra e preparata in vari modi: con lievito, latte e anche miele nell’impasto. Così, tecnicamente e freddamente, recita il dizionario, ma in Romagna, piadina é realtà non solo gastronomica, é fatto di storia e di costume, é elemento turistico ma anche culturale. Ed é, anche, un grande successo economico, con quasi settecento chioschi dipinti a strisce bianche e azzurre, sparsi nelle tre province romagnole di Ravenna, Forlì e Rimini. Un successo basato sulla semplicità del prodotto. Un pò come è accaduto per il “liscio”, la musica fondamentale dell’Emilia-Romagna. “Liscio” e piadina, un matrimonio perfetto. Dove la piadina, un disco piatto di 25 centimetri di diametro, fatto solanto di acqua, farina, sale e strutto, viene cotta sulla lastra di ferro. La piadina viene presentata nei ristoranti bollente, tagliata a spicchi, cosparsa di un trito di erbe e accompagnata da prosciutto crudo. Ma il consumo classico si allarga ad disco farcito di “squaquerone” (formaggio molle del tipo stracchino), o di erbe, o patate o cipolle e pomodoro. La piadina richiama ogni anno, a Cervia, nel Ravennate, le migliori otto “piadinare” romagnole per il titolo nazionale. A Santarcangelo di Romagna, provincia di Rimini, la piadina é la bandiera sotto la quale marcia anche Tonino Guerra nelle sue battaglie in favore della Valmarecchia. All’ osteria-ristorante “Sangiovesa”, ospitata nell’antico palazzo Nadiani, arredato anche con opere dello sceneggiatore di Fellini Tonino Guerra, la piadina viene cotta a vista. Oltre a questo prodotto tipico, si preparano i “cassoni” farciti con verdure e formaggi, le paste fatte a mano, come gli strozzapreti o strangolapreti, gli stringhetti e le tagliatelle. Sono invece gli spaghetti gli indiscussi protagonisti a Morciano di Romagna, dove il pastificio Ghigi vanta la più antica e continua presenza nella produzione di paste alimentari. E sono gli spaghetti a farla da padrone nella Sagra annuale che cade nell’ultimo weekend prima di Ferragosto.
E cosa c’é di meglio che condire gli spaghetti con il delizioso olio extravergine prodotto in zona? Il succo d’oliva è particolarmente pregiato sulle colline della Val Conca e della Valmarecchia, con sagra a Coriano e a Montegridolfo. A pochi chilometri da questi borghi senza tempo, frigge la Riviera. E con lei friggono i pesci di ogni tipo. Trattorie e ristoranti precollinari propongono “omini nudi” (pescetti filiformi e gustosissimi) alla piastra “saraghine” alla brace, sardoncini marinati e sgombri, seppie e calamari, brodetti e frutti di mare.
La Romagna è una terra fantastica, non soltanto per la sua celebre ospitalità e per le sue strutture alberghiere, anch’esse perfettamente attrezzate. Uno dei punti forti di Riccione e di questa terra è indubbiamente l’ottima cucina. Ecco perché, in vacanza, non dovete rinunciare ad assaggiare le delizie della Romagna, in uno dei tanti ristoranti presenti.